I reali motivi per cui votare NO

L’elogio del fare è sempre fuori luogo, perché fare è verbo transitivo, che si qualifica esclusivamente per il complemento oggetto che regge. Dunque si può fare il bene, ma anche fare un errore madornale.

La riforma costituzionale firmata da Renzi e Boschi non nasce dal nulla. È un passaggio fondamentale che, nella loro ottica, permette di chiudere con il passato ed aprire una nuova stagione politica e sociale nel nostro Paese. È il punto di arrivo di un percorso che, negli ultimi anni, ha portato all’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, alla delegittimazione dei corpi intermedi, all’abolizione dell’art. 18, al Jobs Act. Viene da chiedersi che aspetto abbia questa nuova stagione politica e sociale.

Cresce l’indignazione, si chiede a gran voce un cambiamento, ma il cambiamento non è un elemento neutro.

Pare che il centro di tutto sia il problema della governabilità della democrazia. Le ragioni vengono esplicitate da JP Morgan nel maggio 2013: “Ci sono esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti e delle regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, diritto di protesta se i cambiamenti non sono graditi.” La soluzione suggerita è chiara, vanno smantellati i diritti sociali. Non è certo un caso se la riforma viene sostenuta con convinzione da tutto il mondo industriale e finanziario, italiano ed internazionale. È una riforma d’élite, e come tale va valutata. I due blocchi non vanno valutati orizzontalmente, da destra a sinistra, ma verticalmente, dall’alto verso il basso.

Attenendosi scrupolosamente alla nota della JP Morgan, la legge di revisione incrementa in maniera significativa il potere del Governo a discapito del Parlamento e delle Regioni. Alla decretazione d’urgenza, all’iniziativa legislativa, alla legislazione delegata ed alla questione di fiducia si aggiunge il voto a data certa: i disegni di legge del Governo “indicati come essenziali per l’attuazione del programma” beneficeranno di una corsia preferenziale. Questa procedura è palesemente finalizzata ad imbrigliare il confronto parlamentare ed a limitare tempi e spazi nel dibattito della democrazia rappresentativa; ogni qual volta l’esecutivo lo riterrà indispensabile, potrà ricorrere al voto a data certa. Come se non bastasse, con l’introduzione della clausola di supremazia, il Governo potrà scavalcare gli altri organi istituzionali, invadere le loro materie di competenza ed imporre le proprie decisioni celandole dietro un soggettivo interesse nazionale.

In altre parole, la riforma affida la richiesta del voto a data fissa e la clausola di supremazia statale al Governo, chiudendo gli spazi alla dialettica politica e rendendo l’esecutivo padrone del procedimento legislativo e della relazione Stato-Regioni; prevede che la potestà legislativa sia trasferita sempre più al Governo, che avrà così il controllo dell’agenda parlamentare.

La riforma spacca in due il Paese, esattamente il contrario di quello che dovrebbe accadere in una fase costituente, e non è assolutamente da sottovalutare dato che smonta ben 47 articoli della nostra Costituzione. È bene fare una precisazione a monte: è inutile sottolineare che le riforme costituzionali andrebbero approvate con il più largo consenso possibile e, anche se il governo Renzi si è valso di un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale, la scandalosa forzatura non è illegittima.

Tutto gira intorno al falso problema della scarsa governabilità. Chi ne parla vorrebbe un sistema in cui chi vince le elezioni sia libero di governare a piacimento sino alla successiva scadenza elettorale. Ciò riduce gli spazi di partecipazione democratica perché il popolo non avrebbe più modo di incidere, o almeno influenzare, tra un voto e l’altro le politiche portate avanti da chi riuscirà a conquistare il potere. La riforma salta i corpi intermedi, riduce drasticamente la rappresentatività, esclude chi non si adegua, porta ad una semplificazione verticale del campo politico ed al suo conseguente svuotamento. Col termine governabilità oggi si intende potere di comandare senza limiti, vincoli e contrappesi; nell’attuale contesto europeo, vuol dire neutralizzazione della vita democratica, vuol dire rapida e fedele esecuzione dei dettami dei mercati.

Le garanzie sono l’essenza del costituzionalismo: il suo obiettivo è sottoporre il potere a vincoli per evitare che chi lo esercita ne possa abusare soffocando i diritti; solo se i poteri dello Stato sono divisi tra organi diversi che si controllano a vicenda, possono essere garantite le libertà. Nella riforma l’equilibrio dei poteri è fortemente alterato a favore dell’esecutivo. La concentrazione dei poteri nelle mani del Governo e del suo capo esautorerà il Parlamento, neutralizzerà le istituzioni di garanzia ed indebolirà le autonomie regionali; la democrazia parlamentare si trasformerà in un sistema autocratico, verticalizzato e personalizzato, molto più di quanto accade in un normale sistema presidenziale.

La riforma sottoposta a referendum devasta l’assetto costituzionale ed incide profondamente sul suo disegno complessivo. Svuotando il Parlamento dalla rappresentanza, subordinandolo al Governo, distorcendo il voto popolare nell’elezione del capo, vi sarà un accentramento del potere decisionale ed una minore condivisione delle scelte importanti, anche in tema di diritti sociali e civili. Il meccanismo di delega ad un capo carismatico a cui affidare le sorti del Paese, cioè di ciascuno di noi, verrà irreparabilmente rafforzato.

Già oggi la stragrande maggioranza delle leggi approvate è di origine governativa e permettere a questa riforma di passare vuol dire legittimare il processo decostituente della democrazia partecipativa a favore di una fantomatica governabilità, che significa accentramento del potere nelle mani di pochi a discapito di molti, specialmente dei soggetti più deboli. Questa Europa, e tramite essa i mercati, chiede di sostituire la centralità del Governo (potere esecutivo) alla centralità del Parlamento (potere legislativo): investendo il capo del potere necessario, si realizzerà la governabilità necessaria per sottrarre capacità decisionale ai cittadini, mettere in secondo piano i loro diritti e realizzare il volere dei grandi poteri economici e finanziari.

Non era necessario ricorrere ad una riforma costituzionale per semplificare e velocizzare, sarebbe bastato modificare ed integrare i regolamenti parlamentari, anche se addirittura per il Financial Times il problema pare non essere questo: “L’Italia non ha bisogno di leggi approvate più rapidamente, ma di un numero minore di provvedimenti e di migliore qualità”.

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Luca Ruggiero – ARCI Brindisi

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